SUO NONNO,
A BUON DIRITTO, SI PUÒ RITENERE TRA I TRA I «PADRI FONDATORI»
DEL NORDEST DEI MIRACOLI
Francesco Jori
Trascritto dal
cyberamanuense Marco Allasia
Treviso
Suo nonno, a buon
diritto, si può ritenere tra i «padri fondatori» del
Nordest dei miracoli, anche se all’epoca tirava tutt’altra aria. Ma proprio
lì, in un contesto di miseria diffusa, di risorse pressoché
inesistenti, e di emigrazione per disperazione, gente come Carlo Menon
gettava le basi di un modello basato sul «fai da te», che coniugava
inventiva e capacità manuali.
Carlo Menon, nonno
di Laura Menon Grosso, era un trevigiano di Roncade classe 1858, con la
passione della meccanica. Già a 12 anni andava a bottega, da un
fabbro ferraio; e ad appena 17 si metteva in proprio, ideando un primo
biciclo a legno, e costruendone nel 1887 assieme a Fausto Vianello un modello
con ruote in legno cerchiate in ferro. Poi passò alle bici semplici
e a quelle da corsa. Primo in Italia, realizzò biciclette con ruote
di diametro uguale, che sostituivano quelle consegnateci da remote stampe
e primitive foto, con il ruotone grande davanti e quello piccolo dietro:
caratteristiche a vedersi, certo, ma ardue da manovrare, e soprattutto
da salircisi sopra.
La sua bottega,
ricorda la nipote Laura, che qualche anno fa ha curato una bella pubblicazione
rievocativa, indicava già nella ragione sociale la poliedricità
e la versatilità del titolare: «Artigiano, fabbro ferraio,
armaiolo, costruttore di bicicli su commissione». Come dire, voi
chiedete e noi facciamo. Ma era anche uno di quei tipi che non sanno star
fermi, e che producono anche se nessuno chiede. Era l’epoca della sfida
della carrozza senza cavalli, alias l’automobile; e Carlo Menon ci si tuffò
con passione, dapprima lavorando su motori a vapore e a scoppio, e perfino
partecipando alla costruzione di un aereo (un biplano in canne d’India
e tubi d’acciaio con propulsione a pedali).
Il suo nome l’ha
legato comunque all’automobile, tenendo testa a un colosso come la Fiat.
Nel 1895 cominciò a lavorare a un prototipo con motore De Dion Bouton
da due cavalli e mezzi, costruendolo interamente nella sua bottega, e dandogli
il nome di «carrozza senza cavalli»: completamente da solo,
affrontò e risolse via via i problemi legati all’accensione, al
raffreddamento, al cambio, alla frizione, al differenziale; infine, dotò
il modello di ruote in acciaio con raggi, dotato di pneumatici forniti
dalla Pirelli. Il motore era a un cilindro, le sospensioni a molla.
Fu un lavoraccio,
davvero, che gli portò via oltre due anni. Nel 1897 il prototipo
era pronto, e veniva ufficialmente presentato a Treviso, tra la curiosità
e l’ammirazione generali. E tre anni dopo, la «carrozza senza cavalli»
riusciva già a stupire, imponendosi all’attenzione perfino di piloti
ed esperti di «grandi firme» automobilistiche come Fiat e Lancia.
Accadde nel 1900, quando una vettura con motore interamente elaborato dallo
stesso Menon, di 3 hp e mezzo, si distinse a Padova e a Brescia nelle gare
di resistenza, su una distanza di 223 km, e di velocità, su una
distanza di 10 km, quest’ultima coperta alla più che rispettabile
media, per l’epoca, di 39 km orari. L’anno successivo, a Udine, il veicolo
risultò primo nella prova di dirigibilità nella corsa, e
con l’impiego di alcol al posto della benzina.
Purtroppo, la Grande
Guerra, con le sue fasi drammatiche, le devastazioni, e gli strascichi
lasciati per diversi anni, compromise il geniale lavoro di Carlo Menon:
la "vetturetta" si presentava leggera, manovrabile, non impegnativa,
di poco consumo. Avrebbe potuto rappresentare un’idea geniale, destinata
ad affermarsi sul mercato: ma ci volevano investimenti, mezzi, disponibilità
di cui la piccola bottega artigiana di Roncade non poteva disporre. Così
il modello finì in un magazzino, da cui uscì solo una quindicina
di anni dopo, quando Guglielmo Menon, direttore proprietario delle Officine,
con il fratello Luigi, (subentrato a Carlo, morto nel 1924), la ricompose
con tutti i meccanismi autentici. E in varie occasioni quel modello onorò
raduni e corse, finché all’autodromo di Monza venne esaminato da
esperti e conoscitori e scelto, unico in Italia, per partecipare alla corsa
Londra-Brighton, di 90 km. Il nipote di Carlo, Cipriano, e il pilota conte
Luigi Castelbarco ottennero un eccellente piazzamento, venendo festeggiati
adeguatamente.
Tornata in Italia,
la vettura partecipò a vari raduni, finché giunse a Roma
Cinecittà, «ingaggiata» per il film «I due figli
di Ringo», con Ciccio Ingrassia e Franco Franchi. Ma si fece vedere
e ammirare anche in casa: a Roncade, tra i più importanti raduni
e corse, aprì la Strada del Vino Rosso con le più belle auto
d’epoca del tempo condotte dall’inventore e direttore del museo di Bassano
Nino Balestra. I tecnici ed esperti conoscitori del modello, oltre ai proprietari
Luigi e Cipriano Menon, furono il cavalier Antonio Pavan detto Tugoleti,
e la stella del lavoro Giovanni Gobbin. Oggi la macchina è custodita
dal pronipote di Carlo, Carlo Antonio, che con la moglie Irene Stucchi
dirige a Roncade la nuova officina, da cui escono tra l’altro le valvole
speciali per auto da corsa, Ferrari compresa.
Dei Menon di Roncade,
pionieri del moderno Nordest, ha scritto tra l’altro Claudio Bin, presidente
della Banca di credito cooperativo di Monastier e del Sile: «Appartengono
alla schiera esigua dei precursori del fenomeno Nordest. Geniali, capaci
di inventiva, lungimiranti come pochi, con la loro intuizione, la carrozza
senza cavalli, hanno aperto la strada alla diffusa industrializzazione,
al miracolo imprenditoriale che ha cambiato, per sempre, lo scenario della
nostra terra».
IL GAZZETTINO DI VENEZIA 10 Agosto
2004
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